Il Covid ci ha dato l’opportunità di sperimentare un nuovo modo di lavorare ed interagire sfruttando maggiormente la tecnologia.
Abbiamo potuto fare workshop virtuali, sviluppare processi creativi e sfruttare potenziali ed esperienze provenienti da diverse regioni del mondo.
Eppure, qualcosa non sta funzionando. L’home office full time e le restrizioni hanno portato le persone a vivere sempre più la propria realtà locale perdendo l’abitudine all’uso dell’inglese e spesso anche la propensione a comprendere diverse opinioni e diversi approcci culturali.
L’accettazione del diverso avviene tramite la conoscenza e l’esperienza personale. Se le persone vivono e interagiscono nella quotidianità sono maggiormente portate a capirsi e a fare uno sforzo di linguaggio per interagire.
Il mondo virtuale invece ci permette di circondarci di ciò che è simile a noi e che conferma le nostre convinzioni. Non ci occorre fare uno sforzo verso l’altro perché viviamo di riflesso a noi stessi e al nostro contesto. Ciò ha reso più complesso la gestione dei conflitti e la capacità di collaborazione.
Ci lavoro da anni e ammetto che generare team internazionali è una delle sfide più impegnative. Eppure continuo a credere che solo dall’unione di prospettive diverse si possano generare progetti e concept di successo.
Il dovere e il challenge di noi manager in futuro sarà proprio quello di aiutare e facilitare tale interazione con sforzi maggiori e molto innovativi.
Si parla anche di Interculturalità nel mio nuovo libro “Moving the Moutain“