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Recentemente mi è capitato di guardare un documentario su Freddy Mercury e, spinti dall’interesse, la stessa sera abbiamo guardato anche il film su di lui: “Bohemian Rapsody”.

Il suo genio e il suo talento hanno attraversato e unito generazioni, le sue canzoni intramontabili e la sua energia sul palco lo hanno reso fra i migliori performer di tutti i tempi. 

Eppure lui non rappresentava affatto lo stereotipo del “successo” come lo pensiamo di solito. Quando il rappresentante della Emi gli chiese perché avrebbe dovuto sceglierli, lui disse: “noi siamo quelli in fondo alla sala” ed erano fieri di sentirsi i rappresentanti degli ultimi. 

Da ragazzo era un emarginato, lo è stato in realtà per tutta la sua vita. Soffriva le sue origini familiari ed era molto particolare. Il suo incredibile talento in fatto di musica, la sua visione e la sua personalità lo hanno reso il mito che era.

Quando pensiamo al successo, le immagini che ci vengono in mente corrispondono a caratteristiche fisiche e di comportamento ben definite.  Lo colleghiamo automaticamente e inconsciamente alla forza, all’intelligenza, alla bellezza e al potere. Pensiamo alle persone che hanno cambiato il mondo, agli eroi e ai premi nobel. Quando vogliamo mostrare agli altri che siamo persone di successo mostriamo oggetti, assumiamo una certa postura e sorridiamo alle telecamere. Amiamo il successo perché rappresenta un punto di arrivo. 

Guardavo al notiziario le immagini del red carpet del festival del cinema di Venezia: i vestiti splendidi, le nomination e i sorrisi alla videocamera.  Ma il successo non è fatto solo di luci e applausi. Quello visibile è l’effetto ottico che appare quando il successo è già accaduto. Ciò che sta dietro quel momento è la fatica, la sofferenza e la debolezza. 

Tendiamo a rifiutare o a nascondere la debolezza, o meglio chiamarla la fragilità. Piangiamo da soli in camera nostra e mostriamo agli altri la parte più sicura di noi. A volte cerchiamo di controllare la nostra parte emotiva, quella che ci fa reagire in maniera esagerata o non consona a ciò che gli altri si aspettano da noi. Cerchiamo di reprimerla e di gestirla senza capire che la grande arte, il talento e la differenza si verificano esattamente quando seguiamo la nostra parte emotiva. Tramite la sofferenza esprimiamo quel lato più passionale, vero e magico che è dentro di noi. 

Il successo non accade semplicemente perché siamo bravi. Il successo arriva dal duro lavoro, dalle lacrime e dai dubbi. Chi ha successo a volte non ha più capacità o più talento di altri. La differenza è che ha osato, non si è tirato indietro. Ha perso la faccia, è caduto e ha riprovato. Ha creduto in sé abbastanza da non vergognarsi di mostrarsi di esprimersi. 

Anche io nascondo la mia fragilità. Ho sempre considerato odiosa la mia tendenza alle lacrime facili e all’empatia estrema che mi porta a provare la stessa sofferenza di chi mi sta intorno. Tendo a evitare questi momenti e a razionalizzare continuamente tutto. Ma negli anni la mia parte emotiva mi ha fatto abbastanza dispetti da farmi capire che devo ascoltarla e farla uscire. Da questa parte più intima e delicata escono le parole che scrivo e sono arrivate le migliori idee di tutto ciò che di buono ho saputo fare nella vita. Ma ascoltarsi è un gesto coraggioso e un esercizio costante.

La nostra società ci vende soluzioni facili e superficiali mentre il vero successo sta nel saper ascoltare il proprio istinto, lasciarsi spazio per dar modo al processo creativo di attivarsi e mettersi in contatto con il mondo.  Quando ci lasciamo andare, qualcosa di nuovo prende un microspazio dentro di noi. E se siamo bravi abbastanza da amarci e rispettarci, quel microspazio si amplierà e ci porterà nuove esperienze e nuove scelte che ci renderanno più felici e al tanto famigerato successo. 

Quindi mi piace pensare che ognuno ha un suo genio. Avere successo non significa corrispondere a determinati canoni ma piuttosto a trovare la propria strada. Capire il valore che siamo in grado di creare e in quale ambito e sfruttarlo. Non si può essere bravi in tutto e soprattutto non si può seguire quello che si aspettano gli altri correndo il rischio di non capire mai cosa davvero ci muove.

Quando Freddy Mercury creò Bohemian Rapsody nessuno gli diede credito e invece fu uno dei maggiori successi di tutti i tempi. Lui creò la sua musica secondo la sua voce interiore e il suo istinto e non ebbe paura di insistere e farsi valere. Quante volte ci siamo trovati soli con la nostra idea di fronte al mondo e ci siamo tirati indietro perché magari non ci siamo sentiti sicuri? Ma Immaginate se Freddy si fosse fermato di fronte alle reticenze della sua famiglia e dei suoi agenti? 

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